26 giugno, 2006

Un amore

Un dolore,
sordo,
nel tuo centro.

Ma ciò che è tremendo
quella indicibile
dolcezza

05 giugno, 2006

Parigi.

Troppe sarebbero le cose da dire. Il guaio è che certe cose non si possono neanche raccontare.



Come fai a raccontare una geometria? Come fai a trasmettere l’emozione profonda che ti dà stare seduto su uno scalino in un coro di una chiesa. E perderti in un’architettura mai vista, in un canto a canone scolpito nella pietra, fatto di spirali, nervature e fughe che si inseguono, si intersecano, si rispondono e si innalzano verso l’alto a cantare la gloria di Dio, mentre sullo sfondo una serie di vetri blu, gialli, rossi, arancioni, verdi e chissà cosa ancora innonda tutto lo spazio di una luce viva e struggente.



Come fai a raccontare una luce? Come fai a trasmettere l’emozione che ti dà camminare tra le stradine della rive Gauche e improvvisamente girare l’angolo e trovarti di fronte Notre Dame immersa nella luce del primo mattino. L’hai vista anche ieri sera, Notre Dame. E non era riuscita a parlarti dentro. Ma ora… Ora si. Ora che ha il sole alle spalle, ora che la luce scende di lato, come un taglio. E incontra i vapori della Senna. E rende l’aria del mattino presente, visibile. Un esplosione di luce sospesa. E la massa possente delle torri e dei contrafforti diventa poco più di un miraggio



Come fai a raccontare un miraggio? Come fai a trasmettere l’emozione intensa di un piccolo quadro disperso tra tanti nel museo sbagliato. Una ragazza tratteggiata. Sembra niente. Stai per tirare avanti ma nell’istante esatto in cui stai per andare ti accorgi di quella macchia azzurra così intensa sul petto. E allora torni indietro e ti avvicini. E vedi. Vedi la camicetta blu. E vedi la magia di quella gonna… non è una gonna: è un vapore in blu e carbone. Sembra che se togliessi il vetro potrebbe perdersi come un fumo colorato. E allora, solo allora, vedi anche tutto il resto: vedi il volto che è appena un contrasto tra luce e ombra e pensi che doveva essere bellissima, vedi l’eleganza del gesto della mano posata sulla gamba, vedi i capelli sciogliersi lungo la spalla. E ad ogni particolare ti innamori e non vorresti più staccarti. E l’emozione sale dentro di te. E senti un nodo alla gola, una commozione, una melodia dell’anima che vorresti solo sciogliere in pianto.



Come fai a raccontare una melodia? Come fai a trasmettere l’emozione che ti dà passare dal frastuono di rue di Rivoli al cortile del Louvre, dove ogni rumore improvvisamente si perde e il silenzio ingigantisce le dimensioni della piazza e fa del tempo una dimensione sospesa. Rimane solo un suono. Un flauto, suonato da una ragazza, che da un portico si spande come per magia in ogni angolo del cortile immenso. E non la sai spiegare questa cosa: perche se ti mettessi ad urlare tutto è talmente dilatato che nessuno ti sentirebbe a più di venti metri. Eppure questa melodia stentata avvolge tutto e lo dilata e se ne appropria e ferma il tempo nella tua mente. E vorresti che fosse per sempre.



Come fai a raccontare il tempo che si ferma? Come fai a trasmettere l’emozione che ti dà sdraiarti sotto il Pompidou a guardare il cielo e quelli che salgono in alto, verso il museo, oltre le vetrate. Disperso tra centinaia di altre persone di ogni razza ed età. Da soli, a coppie, a gruppi. Ogni tanto una musica, artisti di strada, che accompagna i pensieri. Sembra niente, ma non sono solo io a viverla questa emozione perché gli altri, quelli che stanno salendo al museo davanti a noi, si fermano tra una scala mobile e l’altra. E guardano. Ad ogni piano si vedono uomini e donne di ogni razza ed età, da soli, a coppie, a gruppi che si fermano e guardano giù verso la piazza. E ti sembra di sentirla l’emozione che stanno provando. È un dialogo muto, a distanza. Eppure si sente. E’ un canto a canone fatto di sguardi, di pensieri, di emozioni che si inseguono, si intersecano, si rispondono. E chiedono solo pace.